Avete mai camminato così tanto da rendere le vostre scarpe inutilizzabili? Io sì… A Barcellona. È pur vero che i giorni a mia disposizione erano pochi: in tutto avevo quattro giornate, o meglio tre e mezzo se escludiamo i viaggi di andata e ritorno, e la capitale della Catalogna merita almeno un soggiorno di una settimana. Ma andiamo con ordine.
Sono partita da Napoli con un aereo che ha fatto scalo a Milano (al ritorno a Roma ed è stato più il tempo per scendere e salire dall’aereo che la durata dell’ultima tratta). Infatti da Capodichino i voli diretti per la città spagnola non sono tantissimi, quindi se siete di Napoli e odiate le attese in aeroporto vi conviene prenotare con un certo anticipo, riuscirete così anche a risparmiare qualcosina sul costo del biglietto. C’è di buono che una volta sbarcati ad El Prat, aeroporto principale di Barcellona, non vi sarà difficile raggiungere la città (distante circa 10 km), anche se, come me, masticate poco lo spagnolo. L’intera rete dei mezzi pubblici è ben illustrata e potete raggiungere il centro, utilizzando i treni Renfe in partenza ogni 30 minuti circa. Io, arrivando in tarda nottata, ho preferito scegliere l’alternativa decisamente meno economica: il servizio taxi.
La prima notte l’ho passata a Hostal Central (non lontano dalla Sagrada Familia); ammetto che l’avevo scelto per lo stile liberty del palazzo, ma sono stata fortunata: la struttura era pulita e lo staff molto gentile. Un buon rapporto qualità-prezzo (in alta stagione circa 30 euro a persona). Nonostante ciò, il giorno seguente mi sono spostata all’ Hotel Hesperia Carlit, non molto lontano dall’ostello che avevo lasciato, anzi la strada era la stessa (Carrer de la Diputació). Ho preferito non allontanarmi, perché la zona mi piaceva: non distante dal centro, ma lontana quanto basta per rilassarsi. L’albergo è molto carino e pulito, in posizione ottima tra la Sagrada ed il centro, a solo pochi metri dalla stazione metro. I prezzi sono ragionevoli, ma la colazione è un po’ esosa, meglio il bar all’angolo!
Ciò che colpisce subito quando inizi a girare Barcellona sono le sue strade ampie e lunghe: i “Passeig”, le “Avinguda” e la Rambla dividono la città in modo ordinato. Basta, però, allontanarsi di poco da queste direttrici, che si può avere la fortuna di trovarsi in un labirinto fatto di stretti passaggi e deliziosi vialetti. È quanto è successo a me: un “fuori pista” nei pressi della Rambla mi ha portato al Barrio Gotico, ovvero uno dei quartieri più antichi, dove Barcellona ha racchiuso tutto il suo passato. Zona di indiscutibile bellezza, ricca di edifici medievali e monumenti gotici, va attraversata col naso all’insù per non perdersi scorci interessanti. Riprendendo la Rambla e percorrendola tutta verso sud sono finita nel Mare Magnum. Ampio complesso ricreativo adatto per la movida notturna, il Maremagum è una valida meta anche di giorno. Centro commerciale a parte, vale la pena, infatti, di visitare l’Acquario di Barcellona che, con il suo tunnel di cristallo, è la seconda attrazione preferita dai turisti. Qui trasportata da un tappeto mobile sono stata letteralmente immersa nel mondo marino e ho finito per trovarmi faccia a faccia con uno squalo bianco!
Per fortuna, poi, ad assalirmi non è stato lo squalo, ma la fame: era ora di cena. Inutile stare a parlare della paella, dei bocaditos o della patate bravas, chi non le ha sentite nominare almeno una volta nella vita? Preferisco quindi consigliarvi un giro al mercato coperto sulla Rambla (meglio di giorno) dove potrete trovare diverse specialità da banco della cucina spagnola oppure potreste accomodarvi in un Txapela nei pressi del Passeig de Gracia ristorante/bar con un servizio veloce e disponibile a prezzi accessibili. Cucinano solo pintxos: piccole bruschette con i più svariati condimenti, dalla carne alle verdure. Ne esistono di 51 tipi diversi. Sono tutti cucinati benissimo e con cibi freschi. Ritorno sazia in albergo.
Il terzo giorno ho voluto visitare subito il Parc Guell di Gaudì. Patrimonio dell’Unesco, il Parc Guell è una città-giardino a metà tra un parco pubblico e una fiaba dove è possibile passeggiare fra animali fantastici, statue variopinte fontane ed edifici dalla forma irregolare. Antologia del pensiero architettonico di Antoni Gaudì, lo spirito del parco si ritrova in casa Batlò e casa Milà, quest’ultima durante le sere dei fine settimana estivi, vede il suo tetto viene illuminato e aperto ai visitatori. Io non sono riuscita a visitarla, ma da giù tutte quelle persone, al tramonto, su quella terrazza stravagante, sembravano uscite da un vecchio film degli anni ’30.
Nel mio breve viaggio non poteva mancare la tappa sportiva. Se siete tifosi di calcio immancabile la visita al Nou Camp con il museo del Barcelona FC. Oltre a trofei, foto e statue di calciatori (chissà perché Maradona compare poco, bah… ) con un biglietto doppio e possibile visitare gli spogliatoi, il salotto VIP, la sala stampa. Qui si comprende quanto gli abitanti della Catalogna siano legati alla propria cultura e alle proprie radici, qui si respira tutto l’orgoglio catalano: sarà un caso che il Barça è una squadra ad azionariato popolare?
Il mio viaggio finisce qui o meglio finisce con la Sagrada Familia. Le facciate in stile gotico che ricordano bastioni fatti con la sabbia bagnata lasciata colare tra le mani, le sue scale a chiocciola che, come nei quadri di Escher, sembrano non avere né un inizio né una fine, sono forse le immagini più conosciute della Spagna. E se la cattedrale è l’opera più famosa di Gaudì, è di sicuro anche l’emblema di Barcellona, e non tanto per la storia dei lavori che vanno avanti dal 1880, quanto per la sua anima duplice, un ponte fra passato e futuro che ben rappresenta Barcellona, città a metà tra storia ed innovazione.
E così ancora oggi “a volte mi sento come se fossi a Barcellona”.